È sicuramente una delle incognite più grandi della fase 3. Dopo aver riaperto l’Italia, bisognerà riaprire l’Italia ai turisti domestici in attesa del ritorno, nel 2021, degli stranieri. In ballo ci sono un sacco di punti interrogativi e qualche certezza. Nei giorni scorsi hanno colpito molto i rendering con le simulazioni dei box in plexiglass per le spiaggie. Per fare un primo ragionamento si può partire dai numeri e dalla ricerca di Demoskopica. L’istituto definisce un tesoretto di circa 21 miliardi di euro il cosiddetto turismo nazionale, al momento l’unica soluzione alla drammatica crisi che attanaglia il settore, fatto a pezzi dal lockdown e dalla pandemia.

Sarebbero, infatti, rilevanti le cifre del mercato autoctono: ben 278 milioni di presenze. Le vacanze all’italiana potrebbero compensare almeno del 30% il probabile crollo dei turisti stranieri nel nostro Paese (nel 2019 hanno superato quota 216 milioni di presenze) con punte del 67% in Puglia con 2,3 milioni di presenze, del 65,7% in Emilia-Romagna con 7,1 milioni di presenze e del 63,5% in Umbria con 326 mila presenze. Alcune regioni potrebbero addirittura superare la soglia massima di compensazione come Molise, Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Marche.
“Se non si getta un sasso nello stagno, l’acqua non fa i cerchi. Finito il lockdown formale – spiega alle agenzie il presidente di Demoskopika, Raffaele Rio – bisognerà fare i conti con il lockdown psicologico, con la paura dei cittadini di spostarsi. In questa direzione, risulta necessario che ciascun sistema regionale si attivi per ripensare l’offerta turistica in totale sicurezza, concentrando l’attenzione prioritariamente su tre differenti tipologie di turisti italiani: gli identitari, cioè i turisti italiani che trascorrono le vacanze nella regione di residenza; gli esterofili, cioè turisti italiani residenti in una determinata regione che ogni anno scelgono l’estero quale meta vacanziera; e, infine, i nazionalisti, cluster che rappresenta i turisti italiani residenti in una determinata regione che scelgono di trascorrere le vacanze in Italia ma fuori dai confini del loro territorio
regionale di residenza”. Ogni anno – secondo Demoskopika – sono circa 85 milioni i flussi degli arrivi turistici movimentati dagli italiani: 21,1 milioni sono coloro i quali prediligono le vacanze all’estero, 49,2 milioni restano in Italia ma non nella loro regione di residenza e, infine, 14,6 milioni ama trascorrere le vacanze nel territorio dove vive.

Complici la situazione economica, la bellezza della regione e soprattutto delle spiagge, la Sicilia, con il 40,59%, presenta il più elevato livello di “appartenenza turistica”: su un totale di 3,2 milioni di arrivi generati dai turisti autoctoni mediamente in un anno, ben 1,3 milioni (identitari) si sono “consumati” in territorio siciliano. A seguire, con tassi rilevanti, anche la Sardegna e la Campania rispettivamente con il 29,06% e il 26,63%.
Appartenenza più che significativa anche per Lombardia (21,37%), Puglia (20,51%) e Veneto (19,91%). A registrare un tasso di appartenenza intermedia cinque sistemi turistici regionali: Piemonte (18,20%), Calabria (18,18%), Toscana (16,72%), Emilia-Romagna (15,75%) e Lazio (14,28%). In un livello minore rientrano Friuli Venezia Giulia (10,93%), Abruzzo (9,25%), Marche (8,61%) e Trentino-Alto Adige (5,94%). In coda, con valori bassi del tasso di appartenenza turistica la Basilicata (5,41%), la Liguria (5,30%), il Molise (4,87%), l’Umbria (3,61%). A chiudere la classifica del tasso di appartenenza turistica regionale è, infine, la Valle d’Aosta i cui circa 11 mila turisti identitari pesano soltanto per l’1,27% sul totale dell’universo dei viaggiatori valdostani.
Dopo il lockdown dovuto al Covid-19 il turismo ripartirà come negli anni Cinquanta e Sessanta, grazie alla domanda interna e a spostamenti di prossimità, non oltre i 400 chilometri, ma a una condizione: “Bisognerà rivedere al ribasso i prezzi dell’offerta turistica”. Ne è convinto l’economista Giovanni Battista Dagnino, presidente del corso di laurea in Economia e management del campus di Palermo della Lumsa, che sempre alle agenzie di stampa fornisce la sua ricetta per il settore turistico: “I lunghi spostamenti saranno complicati ed è normale che a ripartire, in questa prima fase, sarà soprattutto il turismo di vicinanza”.
La ripartenza del turismo attraverso i flussi interni comporterà la necessità di abbassare le pretese economiche da parte degli operatori: “i turisti internazionali avevano un grosso valore aggiunto e se verranno sostituiti dalla domanda nazionale è chiaro che bisognerà rivedere l’offerta turistica – sostiene – altrimenti non riusciremo a compensare i flussi. Sarà inevitabile ridurre i prezzi: con quelli attuali non ce la faremo. Non possiamo pretendere che l’offerta dedicata al turismo internazionale venga riproposta tale e quale ai turisti italiani, non funzionerebbe”.
Un’altra analisi arriva da Gianluca Casagrande, professore associato di geografia, vicecoordinatore in turismo e valorizzazione del territorio all’università Europea di Roma e direttore scientifico del Greal (Geographic research and application laboratory). “Quando si potrà cominciare – afferma –  a uscire e a viaggiare, non si potrà presto tornare a farlo nel modo a cui eravamo abituati.

Se riusciremo ad andare in vacanza, dovremo continuare a seguire misure di distanziamento sociale, profilassi, contenimento dei rischi. All’atto pratico, quindi, probabilmente si attiveranno prima strutture e servizi turistici che riusciranno a garantire quei requisiti. Per i mezzi di trasporto, invece, bisognerà ricorrere a misure di adattamento dei servizi attuali, tenendo conto che alcune sono più facili da organizzare di altre: ne è un esempio la riflessione che si sta facendo in questi giorni su come rendere più sicuro il trasporto pubblico urbano”.

La tutela della salute – continua Casagrande – rimarrà il primo obiettivo. Ci vorrà comunque tempo prima che si possa tornare attivi con un business turistico a regime. Una variabile che bisognerà tenere nel giusto conto, poi, è quella di eventuali ‘zone rosse’ da stabilire, nelle prime fasi della ripresa, se dovessero manifestarsi focolai. Se, ad esempio, ad essere chiusa fosse una zona turistica, questo creerebbe ovvie e improvvise interruzioni nei flussi. Si potrebbero creare problemi non indifferenti”.

 

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Fonte Dati La repubblica 02/05/2020

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